Nishtha: determinazione e ferma risoluzione
Nishtha è la ferma risoluzione, il saldo intento, una delle condizioni ritenute fondamentali per il sadhaka impegnato nel percorso dello Yoga. Superfluo riportare come si tratti di un’attitudine essenziale da coltivare in generale nella propria vita, qualunque cosa si faccia e qualunque siano le proprie credenze. Nel suo intendimento originale Nishtha esprime la fermezza della mente orientata lungo il percorso spirituale. La natura stessa della vita offre infinite fonti di quelle che potremo definire “distrazioni” potenzialmente in grado di catturare la mente del praticante, sottraendolo dal suo assorbimento meditativo, perturbandone la quiete interiore. Generando vritti (link qui). Lo stesso discorso è applicabile a qualsiasi impegno si possa prendere nella propria vita: vogliamo sviluppare quella certa abilità e ci siamo presi l’impegno a frequentare il nostro corso preferito? Bene, ma senza determinazione e ferma risoluzione basterà poco per perdere di vista il cammino. Si cominceranno a saltare lezioni adducendo (per lo più a sé stessi), questa o quella scusa, non si farà pratica per conto proprio… e inevitabilmente si faticherà sempre di più lungo il percorso, portando talvolta all’abbandono dell’impegno con relativa annessa frustrazione e, magari, l’inizio di qualcosa di nuovo. In genere ripetendo il pattern “disfunzionale”. Facile pensare al corso in palestra disatteso, forse meno se riferiamo il discorso a tutto il resto delle cose che facciamo nelle nostre vite, dallo studio al lavoro, passando attraverso le relazioni umane. Non è certamente sempre così, alle volte gli ostacoli ci sono per davvero o si hanno fatto male i conti relativamente alle proprio risorse… ma è sempre utile interrogarsi e, nel caso, correggere la propria rotta interiore.
Cadendo 100 volte per rialzarsi 101 volte. Si cadrà sempre di meno.
La mente orientata al risparmio.
Prendiamo ad esempio alcune affermazioni commerciali che possiamo leggere ormai ovunque e confrontiamole giocosamente con altre possibili… ma poco probabili.
A) Grazie al nostro dispositivo (da usare quando si dorme) in due settimane ha appreso a parlare fluentemente cinese! [letto per davvero nella pubblicità online di un grosso quotidiano nazionale]
B) Iscriviti al nostro corso e dopo tre anni di studio e pratica intensi avrai iniziato a parlare un po’ il cinese.
A) Risolvi l’ansia in 3 mosse.
B) Ti proponiamo un percorso di due anni che prevede psicoterapia e tecniche di respiro e rilassamento per imparare a gestire la tua ansia e affrontarne le cause.
A) Mai più mal di schiena con 3 esercizi.
B) Ti offriamo un percorso di esercizi da eseguire tutti i giorni per tutta la vita.
Superfluo dire che le proposte A) siano ben più appetibili delle B) per la nostra mente alla ricerca di soluzioni ai più svariati problemi. Eppure si tratta di illusioni per catturare la nostra mente, la cui natura – in maniera scherzosa ma non troppo – è quella di essere pigra, alla ricerca di risposte facili e soluzioni immediate a problemi talvolta complessi. Insomma, la mente è orientata al risparmio: vuole tutto, facilmente e subito. Si tratta di un adattamento, non è “una colpa” o altro… funzioniamo così. Un adattamento per risparmiare tempo ed energie; un risparmio che è stato per migliaia di anni fondamentale per la sopravvivenza di base. Ora prendiamo un paio dei suddetti esempi e completiamoli esplicitando il sotteso che “legge” normalmente la nostra mente in mancanza di informazioni specifiche:
“Risolvi l’ansia in 3 mosse”. La mente legge inesorabilmente “una tantum”. Ora. Taac! Come dicono qui a Milano, risolto! In realtà le “3 mosse”, se la proposta è seria, potrebbero essere: “iscriviti e pratica Yoga con costanza per anni, segui un percorso psicoterapeutico, smetti di assumere stimolanti per tutta la tua vita”… o per riprendere la proposta per il mal di schiena, si sottolinea che “i 3 esercizi sarebbero da praticare tutti i giorni, per essere efficaci”.
Cosa fa sì, quindi, che alcune persone abbiano realizzato tutto quello che l’Umano, nel bene o nel male, ha realizzato e compreso fino ad oggi? La volontà (Iccha, ne riparleremo) insieme alla determinazione. Che va sviluppata, coltivata.
“Voglio tutto senza pagare il conto (o pagandolo il meno possibile)” è il mantra inconscio che guida di base le nostre menti.
Tutto ciò che nella vita può avere una qualche forma di valore reale richiede impegno, costanza e perseveranza. Queste sono le chiavi per lo sviluppo, in qualsiasi area, della propria vita.
Si ricorda inoltre che uno tra i più importanti strumenti a disposizione dei praticanti per direzionare e stabilizzare il proprio intento, qualunque cosa si faccia o si abbia deciso di fare, è il Sankalpa – un’affermazione di ferma risoluzione – praticato con lo Yoga Nidra (link qui e qui).
L’importanza della motivazione nella vita
Inutile girarci intorno: la motivazione è un requisito essenziale per orientarsi al meglio nella vita. Anzi, per vivere meglio la propria vita. Si tratta di un requisito essenziale di funzionamento del nostro sistema biologico. Quello del trovare la propria motivazione in ciò che si fa nella vita è un tema piuttosto noto nella società dell’opulenza, dove si ottiene un po’ tutto in maniera automatica, a partire dalle informazioni. Il risultato è che l’essere umano “impigrito” rischia di finire con lo spendere la propria esistenza come un automa tra i doveri quotidiani meccanicamente svolti… talvolta deprimendosi, talvolta delegando il ruolo psicobiologico della motivazione, ad esempio, all’acquisto di nuovi prodotti di cui inevitabilmente ci si stuferà dopo poco. E così fino alla fine dei propri giorni. D’altra parte la motivazione è essenziale e, come tutte le cose essenziali per il nostro organismo, strettamente connessa col sistema della ricompensa, di cui abbiamo già fatto cenno nei precedenti articoli (qui il link Wikipedia per una sintesi). La natura umana, in virtù dello sviluppo dell’autocoscienza, è però ben più complessa da orientare rispetto quella degli altri animali, dove i bisogni primari la fanno da padroni (cibo, riproduzione, accudimento/relazioni sociali in base alle specie…). Un altro distinguo fondamentale è che noi possiamo scegliere attivamente la nostra motivazione. Indagando noi stessi, dando senso alle cose… è un compito che può risultare disarmante. E talvolta portare sconforto. E’ un tema piuttosto comune e condiviso, soprattutto in chi ha già qualche decade di vita sulle spalle. Ma è un tema che è fondamentale affrontare per trovare il proprio posto nel mondo e, ancor più, sentire di avere dato un senso alla propria esistenza – a prescindere dal fatto che si creda o meno ne abbia in senso assoluto.
La “giusta” motivazione
Premesso che parlare di “giusta motivazione” lascia abbastanza il tempo che trova: ogni motivazione in potenza è quella “giusta”, almeno se assolve al compito di orientare e promuovere efficacemente l’azione dell’individuo. Nel tempo, aggiungiamo. Potrebbe essere quindi più interessante parlare di motivazioni “buone” e altre… “diversamente buone”. Il criterio? Sentire di vivere meglio impegnandosi in quello che si fa.
Il tema della motivazione umana è complessissimo e multisfaccettato; oltre a ciò ha radici nella psicologia del profondo che richiederebbero analisi – e conoscenze – approfondite che esulano dagli intenti del presente articolo. Cercheremo quindi di semplificare con un paio di spunti utili per iniziare ad elaborare quanto vi sarà poi individualmente (o con l’aiuto di un professionista in caso di bisogno) da elaborare.

Chiamiamole “buone” motivazioni
Sostenersi economicamente per vivere una vita dignitosa, per soddisfare i propri bisogni e quelli dei propri cari. Una motivazione universale, per molti sufficiente a dare senso alla propria vita. Almeno fino ad un certo punto. La potremmo definire una “motivazione radice” in quanto è un po’ la conditio sine qua non del (riuscire a) vivere. Apre tuttavia le porte a tutte le altre motivazioni… nel “bene” e nel “diversamente bene”.
Il piacere. Niente di meglio che fare qualcosa che piace, che dona una qualche forma di soddisfazione solo per il fatto che è… proprio quello che piace fare. Non è una fortuna di tutti – almeno per quanto riguarda il lavoro – ma può essere una direzione per orientare la propria ricerca di motivazione nella vita: rispondersi alla domanda “cosa mi piace fare”?
Aiutare il prossimo. Trarre piacere/ricompensa/motivazione dall’aiutare – in qualsiasi maniera – il prossimo. A partire magari dai propri cari. Questa è assodato essere la motivazione migliore da coltivare nella propria vita. Per alcune persone è naturale, per altre può essere appresa. Per alcune persone è limitata alla propria famiglia, per altre può estendersi a vari gruppi umani o animali… fino a tutti gli esseri senzienti, come si è soliti dire nel buddhismo (alcune ricerche solo come spunto, qui e qui, ma la rassegna sarebbe davvero vasta). Si tratta di una motivazione che può trovare chiunque; facile immaginarla per le professioni di aiuto (dove non è detto sia la regola: quanti medici, politici, figure guida o insegnanti di qualcosa esercitano il loro ruolo per il solo senso di potere che gli da, o altre ragioni autoriferite?), meno per altre attività, dal venditore al fornitore di servizi. Ma d’altra parte, cosa c’è di meglio di un cliente soddisfatto per un venditore? Lavorare, impegnarsi sinceramente al servizio del prossimo: qualunque sia la propria competenza offerta. Gioire per la soddisfazione altrui. Anche l’aiuto al prossimo, va da sé, apre un potenziale fronte ad altre sotto motivazioni più perniciose che, laddove identificate, andrebbero quantomeno contenute nelle loro più problematiche manifestazioni. Come quella critica che vedremo più sotto.
Nota: tutto quello che facciamo può essere di indiretto beneficio anche per il prossimo… e ciò può divenire in potenza un elemento di motivazione aggiuntivo. Pensiamo alla nostra pratica dello Yoga o della meditazione e a come potrebbe – ad esempio – aiutare a gestire meglio i rapporti conflittuali con i figli adolescenti, o nel lavoro… o aiutare a costruire rapporti più genuini, sani e positivi con il prossimo in generale. La pratica stessa dello Yoga aiuterà infine a maturare la capacità di trovare motivazioni altruistiche per orientare la propria azione e il proprio impegno.
Chiamiamole “diversamente buone” motivazioni.
Accumulare avidamente sempre di più (link qui). Non porta da nessuna parte, non dona serenità interiore a nessun livello, se non il classico momentaneo piacere dato dall’ottenimento di qualcosa di nuovo. E’ piuttosto assimilabile ad una tossicodipendenza con le sue caratteristiche di tolleranza e assuefazione: si ha bisogno di avere sempre di più… e quel di più sembra non bastare mai. Lo si può facilmente osservare nell’incredibile e surreale avidità di certe figure di potere e nelle loro talvolta imbarazzanti pubbliche dichiarazioni. Il denaro e il potere in sé non sono un “male”, ma possono facilmente intossicare e distorcere la mente umana. Altro che “il potere logora chi non ce l’ha”… certamente però logora anche chi lo brama.
Aspettative di ricompensa e gratitudine. Do ut des. Do a te perché tu dia a me. Si tratta di tensioni interiori che possono avvelenare gli animi più nobili, perché profondamente connaturate nella nostra mente sociale. Possono generare grande sofferenza interiore e sono spessissimo causa comune di crisi relazionali, rabbia e frustrazione. Da qui possiamo comprendere perché non basti una apparente motivazione altruistica per vivere meglio i propri impegni… ma bisognerebbe pure apprendere a svincolarla dalle suddette aspettative. Di fatto, intrapsichicamente ciascuno può trarre gratificazione “fine a sé stessa” dal fare del bene o aiutare il prossimo… naturalmente dietro quel “fine a sé stessa” ci sono motivazioni che affondano le radici nella psicologia del profondo, come – prendendo ad esempio un tema piuttosto popolare – il soddisfare le istanze del proprio arbitro interiore… il grande Padre/Madre che ci dice continuamente se siamo stati bravi, e quindi degni di amore, o meno. O ancora si può ottenere gratificazione “fine a sé stessa” per ragioni legate alla contabilità interiore, ovvero il sistema di valori più o meno consciamente accolto nella propria vita. Nel mondo spirituale si sente spessissimo fare riferimento al “cuore”, come nel linguaggio comune: il “grande cuore” di una persona, il “donare col cuore” ecc. ad indicare generosità, gratitudine ed assenza di aspettative, questo perché le citate esperienze vengono vissute intensamente in quello che chiamiamo spazio del cuore… sì, proprio lì dove batte il miocardio. Una dimensione esperienziale di apertura e profonda connessione e compassione. “Aprire il cuore” vuol dire liberarsi dei veleni che lo affannano, tra cui le aspettative di cui sopra.
Un ulteriore antidoto a questa classe di veleni è il Seva, ovvero il “servizio disinteressato” che potrebbe essere visto come la massima espressione ideale di quanto fin qui articolato. Il Seva è comune nelle comunità spirituali (in India la Gurukula, ne riparleremo), come vero e proprio esercizio per dimenticare sé stessi, i propri affanni e le proprie brame, votandosi al prossimo. Il sevaita si esercita a vedere il Divino, l’Assoluto, il Tutto, l’Uno – lo si chiami come si preferisce – nell’Altro, a cui dona tutto se stesso nella forma del proprio impegno senza aspettative. Fare seva (come il comune volontariato del resto, di cui è un più raffinato parente) è un’esperienza consigliatissima a chiunque per mettere a fuoco e provare ad estirpare i veleni legati alle aspettative. Come di consueto la parola d’ordine iniziale è: consapevolezza prima di tutto.
La pratica dello Yoga e della Meditazione, in virtù della finestra che aprono in noi, possono essere un eccezionale strumento per identificare le proprie motivazioni e raffinarle al meglio al fine di vivere una vita più serena ed appagante.