L'IMPORTANZA DI ABHYASA: COSTANZA E PERSEVERANZA
Cosa si intende per “identificare sé stessi e orientarsi nella vita”? Scopriamolo iniziando l’esplorazione dal concetto cardine di Abhyasa. Nella tradizione dello Yoga esiste l’interessante concetto di Dharma, ovvero ciò che potremmo definire come l’impegno nella propria esistenza alla luce del “ruolo” e del contesto che ci è dato vivere. La chiave per la realizzazione di ciò è un vero e proprio atto di volontà, necessario per non ritrovarsi a naufragare smarriti in balia delle correnti della vita: abhyasa, ovvero costanza e perseveranza. Iniziare le cose e lasciarle a metà alla prima difficoltà (o finita la novità dell’esperienza) non porta lontano nella strada scelta e, se attitudine regolare, nella vita. La tenacia è la chiave. Tenere duro. Resistere nelle difficoltà.
Cado sette volte per rialzarmi otto
Il veleno di cui la tenacia è l’antidoto è la tendenza a sentirsi messi all’angolo dalla vita, al piangersi addosso, al sentirsi senza vie d’uscita. Ciò, per inciso, non è certo una “colpa”. È uno stato interiore e come tale va accolto e compreso… per essere superato. Proviamo a riflettere un attimo: salvo pochissime condizioni estreme per fortuna non comuni nella nostra realtà (un giaguaro ci ha catturato e ci sta divorando nella sua tana!), nel normale vivere sono rare – se non nei nostri schemi mentali – situazioni senza alcuna via d’uscita: certamente è richiesto di adoperarsi, ingegnarsi e spesso rompere letteralmente situazioni e schemi di pensiero e comportamento… di rischiare. Di uscire dal noto della comfort-zone, come va di moda dire oggi. Di affrontare un potenziale nuovo che spesso fa terrore e quindi, nella propria mente, diviene “impossibile”. Altre situazioni vanno gestite con pazienza e consapevolezza; non con passiva rinuncia, bensì con la forza di sostenere quanto vi è da sostenere per il tempo richiesto. L’allenamento per sviluppare tale attitudine va coltivato a partire dalla consapevolezza delle dinamiche della mente, dal non affidarsi ciecamente alle proprie emozioni del momento, alla voce interiore che continua a ripetere: “non ce la faccio, non posso, non finirà mai”. “La mente mente” è una simpatica e un po’ qualunquista (ma non del tutto infondata!) espressione che ci rimanda al senso del discorso di cui sopra.
Nota importante: ci sono situazioni di vera e propria sofferenza interiore, che oggi definiamo “patologica”, le quali bloccano oggettivamente l’individuo dall’identificare e accogliere sé stesso e dall’usare le sue risorse; in questi casi è sano riconoscere di aver bisogno di un aiuto e rivolgersi ad esempio ad un professionista del settore. Chiedere supporto psicologico. Non è un atto di “debolezza”, tutt’altro: soprattutto nella nostra cultura ci vuole forza, coraggio e grande consapevolezza per riconoscere di aver bisogno di un aiuto. Un tempo, in India, si risiedeva per almeno dodici anni presso un Guru, un Maestro riconosciuto che obbligava il sadhaka, il praticante, ad un profondo lavoro interiore, sia in chiave individuale, sia di gruppo… solo dopo le prove di questa vera e propria “purificazione” veniva consentito l’accesso agli insegnamenti spirituali. Oggi, nella nostra cultura, possiamo fruire della consulenza e del supporto di professionisti specializzati a cui qui si invita a rivolgersi in caso di bisogno, qualora si comprenda di non avere le risorse per affrontare autonomamente il disagio interiore.
Se si riesce a vedere tutto ciò sarà possibile comprendere come in fondo non vi sia nulla da temere realmente e, sgravati da rigidità e nevrosi, ci si potrà concentrare sulla connessione profonda con sé stessi, una connessione essenziale per potersi dare una direzione, per realizzare sé stessi: qualunque sia il contesto di riferimento e la stagione della propria vita.
La vera realizzazione di sé non è data dell’accumulo di oggetti di valore o dall’ottenimento di chissà quali riconoscimenti, bensì dal trovare il modo più semplice di stare bene con sé stessi e con quello che si fa.
Da dove iniziare? Dal chiedersi chi si è.
Chi sono io? Tale è la domanda che nell’antica tradizione dello Yoga (e non solo!) veniva e viene posta al centro di ogni riflessione. La risposta base che iniziamo in genere col darci è un nome e un cognome. Tale domanda veniva e viene usata come potente – e inizialmente destabilizzante – strumento di meditazione profonda su di sé. La risposta varia nel tempo e non è importante all’inizio… la chiave è la capacità – che si sviluppa con la pratica – di “sentire” le varie risposte che di volta in volta emergono; rispondersi con idee astratte come “sono l’Assoluto/il Vero Sé/il Divino” ecc non ha infatti molto senso se in realtà si è totalmente identificati con il proprio nome e cognome, con la propria immagine, col ruolo sociale o con ciò che si possiede…
Tuttavia il fatto stesso di porre ripetutamente alla coscienza la domanda attiva già gli strumenti “cognitivi” per destrutturare al limitata rappresentazione che si ha di sé stessi all’inizio di un qualsiasi percorso evolutivo, spirituale o di “self-enhancing” che sia. Altresì bisogna evitare di giudicarsi, di ascriversi in categorie di “buono o cattivo” o altro che sia… non cercare intellettualmente nulla, semplicemente sentire e cogliere le intuizioni che la domanda meditativa lascerà sorgere spontaneamente dentro di sé.
Un utile esercizio:
Porsi periodicamente le seguenti domande (se si vuole in forma di diario) il più frequentemente possibile, idealmente tutti i giorni prima di coricarsi:
- Chi sono io?
- Qual’è il mio obiettivo? Cosa voglio dalla vita?
- Che passioni uniche posso condividere/offrire al mondo/agli altri?
- Cosa/chi mi piace, mi fa stare bene?
- Sono positivo e disponibile?
- Come potrei migliorare questo aspetto del mio pormi nel mondo?
- Che cosa reputo importante e vorrei coltivare nella mia vita? (valori, cose da fare…)
- Che cosa vorrei evitare, o diminuirne la presenza, nella mia vita? (come sopra)
Porsi queste domande in un momento quieto, in cui la mente profonda e creativa funziona meglio: dopo aver praticato Yoga o meditato, o anche semplicemente quando si è prossimi al riposo o al risveglio, in cui la mente è più fluida e aperta.
Si scopriranno tante cose di sé e nel tempo si osserverà l’evoluzione delle risposte date.
Avere curiosità e non dare per scontato sé stessi è il modo migliore per imparare a conoscere realmente sé stessi