Il pensiero positivo: un po' di storia
Partiamo con una definizione di massima del cosiddetto pensiero positivo, ovvero un paradigma che sostiene l’importanza di direzionare la mente verso schemi di pensiero positivi, in luogo di quelli negativi risultanti da spinte culturali, caratteriali o dovute ai più vari condizionamenti negativi, al fine di raggiungere uno stato di maggior benessere, serenità e fiducia nella vita. Alla base del raggiungimento di tutto ciò vi è lo sviluppo della capacità di osservare, riconoscere e gestire i propri pensieri, i processi della propria mente. Ti suona già nota questa idea? Probabilmente sì se hai interesse per lo Yoga e la meditazione, essendo la capacità di osservare i contenuti della propria mente senza identificarvisi il caposaldo della pratica delle suddette discipline. Ma restiamo ancora per un po’ in occidente, nella cui cultura viviamo e della quale, volenti o nolenti, tutti noi siamo permeati.
Le prime tracce dei suoi principi e applicazioni in occidente si possono far risalire al lavoro di Émile Coué (1857-1926, link qui), il farmacista e psicologo francese che elaborò il metodo dell’autosuggestione cosciente. In cosa consisteva tale metodo? Nella ripetizione rituale, più volte al giorno, di affermazioni positive su di sé e sulla vita. Relativamente alla disciplina di nostro interesse, lo Yoga, una modalità di applicazione del pensiero positivo la troviamo ancora oggi ad esempio nel lavoro di Swami Kriyananada Giri, discepolo occidentale e celebre divulgatore degli insegnamenti del grande Paramahansa Yogananda Giri (link qui per il suo bellissimo e ispirante romanzo autobiografico). Questi maestri, autori e divulgatori dello Yoga nel ‘900, sono famosi per aver intrecciato la cultura indiana dello Yoga con la tradizione cristiana occidentale, insieme alle suggestioni culturali in voga nella seconda metà del secolo scorso, tra cui appunto l’entusiasmo per la corrente americana del pensiero positivo. A parte il lavoro di E. Coué, si possono identificare due filoni principali del pensiero positivo: quello di matrice accademica, sviluppato dallo psicologo M. Seligman (link qui), fondatore della Psicologia Positiva, e quello di matrice spirituale che vede la sua ispiratrice occidentale in Louise Hay (link qui), le cui opere continuano ad essere best seller internazionali ancora oggi.
La mente costruisce la realtà che viviamo. Direziona la mente e l’Universo “risponderà” dandoti quello che… ti serve? Desideri?
Non è proprio la stessa cosa e le implicazioni sono molto diverse, a prescindere dall’analogo approccio teleologico proprio del filone (cioè la realtà si manifesta in maniera finalistica, con uno scopo). Superfluo aggiungere che le correnti che hanno preso una strada in luogo di un’altra sono innumerevoli e sarebbe impossibile analizzarle tutte in questa sede.
Meriti del Pensiero Positivo
Il cosiddetto pensiero positivo parrebbe essere un requisito indispensabile di ogni percorso spirituale o di evoluzione personale.
Sorridi alla vita, pensa positivo e le cose buone giungeranno a te.
Ma è davvero così? Parliamo dei meriti: fior di ricerche hanno ormai appurato come le persone con un’attitudine più positiva nei confronti della vita – a parità di tutte le altre condizioni, economiche, affettive ecc – mostrino condizioni di salute e longevità migliori di chi è incline a vedere tutto nero. E non solo, dalle indagini risulta migliore proprio la qualità della vita, non riferita ai beni o alle ricchezze possedute, bensì all’esperienza che la persona ha della sua vita e del mondo. Il dato è estremamente significativo e i temi correlati sorgono come funghi dopo un acquazzone: minor stress e relativi disturbi ad esso legati, migliore capacità di recupero dai traumi (psichici e fisici!), la capacità di vedere – e quindi potenzialmente di cogliere – opportunità, la possibilità di mutare le proprie condizioni di vita, qualunque esse siano… vedere con occhio luminoso l’esistenza aiuta a vivere realmente meglio, diminuire la quota di infelicità e aumentare quella del benessere percepito – quello che conta, potremmo dire.
Ma è davvero così facile?
Per alcuni individui tale attitudine è naturale, per altri meno, per altri molto meno; la chiave valida per tutti è adoperarsi con volontà per coltivare questa disposizione. Col giusto spirito:
Cado sette volte per rialzarmi otto.
Aggiungiamo: col sorriso. E con pazienza. Senza lasciarsi frustrare dalle derive della vita e della propria mente, con cui ricordiamo è essenziale imparare a convivere prima di iniziare un qualsiasi percorso di ridirezionamento di sé. Per approfondire il tema della costanza e della perseveranza ti invito a leggere qui.
Vediamo un possibile problema per chi si approccia per la prima volta al pensiero positivo. Si pensi ad un dialogo interiore tipo:
“Ti (mi) odio quando fai (faccio) così! Incapace! Ti meriti di soffrire e soffrirai soltanto nella tua vita! E’ solo colpa tua!”
Un bel giorno, dopo aver letto del pensiero positivo…
“Mmh, proviamo ora a pensare positivo… (…) ma cosa vuoi pensare positivo che la vita è una schifezza e tu sei pessimo (io sono pessimo)! Chi nasce tondo non muore quadrato!”
Ti ritrovi in tale pattern mentale?
Ovviamente solo questo potrà essere l’epilogo in presenza di una non completa accettazione e comprensione compassionevole di sé. Risulta quindi fondamentale come prima cosa accogliere la propria natura così com’è, mettendo in discussione le proprie assunzioni interiori su sé stessi e sul mondo, ricordando che siamo il risultato di un adattamento, in questa vita e nella vita dei nostri antenati (o nelle vite precedenti per chi crede a questa possibilità), a causa dei geni che ci portiamo dietro e che tendono “a guidarci” verso il leggere le esperienze della vita in un modo piuttosto che in un altro. In altre parole: generazioni di antenati rabbiosi tenderanno trasferire geni che faciliteranno la comparsa di un temperamento irascibile col quale, alla fine, ci ritroveremo a fare i conti. Si sarà inoltre inclini a percepire ostilità e conflitto ovunque (ricordiamo che l’attenzione e la memoria sono processi intercorrelati e selettivi: non vediamo e ricordiamo “quello che c’è”, ma quello che la nostra mente ha selezionato in base a molte variabili, tra cui le emozioni in corso, le esperienze precedenti ecc). Parliamo di disposizione, “tendenza”, non certo di ineluttabile e immutabile destino. Anche i geni per manifestarsi hanno bisogno di esprimersi, e oggi sappiamo che sono innumerevoli i fattori che determinano se quel certo gene manifesterà i suoi effetti o meno. Esperienze di vita, chi frequentiamo, in che cultura nasciamo, come, quanto e su cosa usiamo la nostra mente.
E quindi?
Il cambiamento necessita di alcune cose: volontà, pazienza e perseveranza. I mutamenti avvengono per piccoli passi e – soprattutto – non è mai troppo tardi per iniziare.
Per chi vede nero, anche solo iniziare a vedere un po’ di grigio sarà un sollievo.

Diverrai ciò su cui mediterai
Swami Shivananda Saraswati (link qui) nel suo sempre classico “Potere del pensiero” (link qui) ci descrive con la sua tipica fiammeggiante passione l’importanza del direzionare proficuamente il pensiero, grazie al quale la nostra mente prende forma e con la quale plasmiamo la nostra identità e le nostre vite. Il contesto culturale e l’approccio sono analoghi a quello del citato P. Yogananda.
“Diverrai ciò su cui mediterai” è una bellissima ed efficace affermazione di Swami Shivananda: il riferimento non è solo alla meditazione canonica, ma si estende proprio al modo in cui fissiamo e “reifichiamo” (rendiamo realtà, un brutto ma efficace termine psicologico) le idee nella nostra mente. Pensa che sei una odiosa e cattiva persona e diverrai realmente con ogni probabilità una odiosa e cattiva persona. Perché – razionalizzando l’idea – in virtù dell’auto giudizio ti porrai male con le altre persone che tenderanno così a confermare l’immagine che hai di te e che, volente o nolente, hai presentato. Al contrario, pensati, immaginati, visualizzati come una persona gentile, paziente, disponibile, sicura o tranquilla… e senza rendertene neppure conto, in virtù delle stesse suddette dinamiche diverrai veramente una persona con quelle caratteristiche. O almeno ad esse un po’ alla volta ti avvicinerai. E’ una semplificazione, ma credo possa rendere l’idea.
Pensa odio tutto il tempo e trasmetterai odio tutto il tempo.
Pensa amore tutto il tempo e trasmetterai amore tutto il tempo.
I riferimenti sono estremi e in mezzo c’è veramente una possibilità per chiunque di trovare la propria armonia con sé stessi e col mondo.
Nella seconda parte dell’articolo analizzeremo le criticità del pensiero positivo e vedremo dei semplici esercizi per iniziare a coltivarlo in maniera sana.