Il Pensiero Positivo tra oriente e occidente
Nelle più genuine tradizioni spirituali/evolutive orientali (e non solo) l’attitudine positiva è sempre e tassativamente legata ad un forte radicamento nella realtà, una realtà veduta, conosciuta, vissuta; da parte di diversi grandi Maestri anche intensamente affrontata (con gli strumenti più adeguati, dall’impegno sociale fino alla sensibilizzazione delle masse). Si consideri inoltre che, a volerla raccontare tutta, la spiritualità orientale delle origini ha tra i suoi principi fondanti la costante consapevolezza dell’impermanenza e, quindi, della morte. Di un Assoluto come unica Realtà a cui rivolgere il proprio pensiero. E di fronte a tutto ciò, che vuoi che siano i problemi, i desideri e le magagne quotidiane? Nulla. E questo già di per sé era ed è sufficiente al praticante motivato per sorridere laddove altri si turbano e rattristano. Ma chiediamoci: è questo un approccio che potrebbe aver seguito tra le grandi masse, nella nostra cultura? Anche alla luce della grande varietà di profili e animi umani.
Ed è qui che entra in gioco l’integrazione novecentesca tra i valori dell’antica tradizione indiana e i bisogni della nostra cultura, dove la suddetta tradizione voleva sfondare. Gli esperimenti sincretici sono stati molteplici, alcuni hanno portato interessanti e utili contributi – come quelli dei maestri spirituali citati nella prima parte dell’articolo, qui -, altri hanno fatto più discutere, come nel caso della cultura New Age, su cui per ragioni di spazio ora non ci dilungheremo. Inoltre, gli argomenti del pensiero positivo ben si prestano a fraintendimenti e distorsioni, si pensi alla tendenza ad ignorare la realtà a favore di un pericoloso e iconico “va tutto bene” o – nel pieno spirito consumistico – al giocare con la perniciosissima e potenzialmente velenosa domanda:
Cosa desideri?
(naturalmente io conosco il modo per far sì che tutto giunga a te)
Perché la felicità va ricercata sempre fuori, no? In qualcosa che possiamo avere, accumulare, bramare…Ecco. Qui i più edotti sui principi dello Yoga avranno già capito che dovremmo aprire una lunga parentesi, che mi prometto di riprendere in futuro. Va da sé che, inoltre, il confine tra il pensiero positivo e il pensiero magico (vedi qui) sia molto labile. Ancora una volta avremo bisogno di discernere applicando, ad esempio, i principi della saggezza millenaria dello Yoga, su cui torneremo.

Le emozioni represse non scompaiono da sole
Si ricorda inoltre ciò che è ormai accordo pressoché unanime in ambito psicologico, oltre che in linea con gli insegnamenti di ogni tempo:
le emozioni represse non scompaiono da sé. Restano lì, sopite dentro di noi.
Attenzione quindi a mascherare o reprimere sistematicamente (talvolta è necessario!) le emozioni: in qualche maniera prima o poi verranno fuori, facilmente nella forma dei più svariati sintomi o in modo dirompente e catartico. Spesso facendo danni. Tutti noi abbiamo conosciuto persone apparentemente pacifiche, gentili ecc, manifestare di punto in bianco atteggiamenti problematici quando non francamente patologici (nel senso di espressione di profonda sofferenza e problemi interiori).
Bene, vivere nel mondo dei sogni o nella negazione difensiva dalla realtà non ha mai aiutato il progresso di nessuno, individuo o società che sia. D’altra parte, quale soluzione migliore di una società annichilita e inebetita nell’illusione del “va tutto bene” mentre imperano lo sfruttamento e aumentano le disuguaglianze sociali?
Per chi è interessato ad approfondire questi temi un interessante video didattico di area psico-sociale, purtroppo solo in inglese. Da vedere fino in fondo.
Consapevolezza. Presenza e partecipazione alla realtà, disposizione positiva nella vita, queste sono le chiavi di un più sano approccio all’esistenza.
Pratica 1: osservare il proprio vocabolario interiore
Che parole usiamo per descrivere noi stessi e gli eventi della nostra e altrui vita?
“Sono stanco”, “non ce la farò mai”, “non sono capace”, “sono veramente pessima” ecc sono espressioni autodescrittive che rinforzano negativamente il nostro essere, peggiorando le prestazioni e generando stati di ansia, inadeguatezza e tristezza nelle nostre vite.
- Iniziare ad osservare il proprio linguaggio interiore, fermandosi non appena ci si rende conto che si stanno usando espressioni negative. Aprire il petto, alzare lo sguardo.
- Impegnarsi a sostituire le espressioni negative con le controparti positive: “ce la faccio”, “sono capace” ecc.
- Far diventare il proprio“è impossibile” interiore in “è possibile”. Tramutare il negativo in positivo nella propria mente.
- Continuare il monitoraggio finché la maggior parte delle espressioni negative non saranno estirpate dal proprio linguaggio interiore.
La stessa operazione può essere eseguita se il linguaggio negativo è orientato alle altre persone: evitare di giudicare. Il giudizio è una funzione naturale della nostra mente discriminante, ma è possibile non indulgervi: il pensiero sovviene ma si evita di rinforzarlo attivamente, vedendolo per quello che è, ovvero un gioco della mente proiettiva che non serve a nessuno se non a irrancidire la propria relazione con il prossimo, col mondo.
Pensa bruttezza, vedrai bruttezza. Molta più di quella che c’è…
Pratica 2: ricercare la bellezza
Esercizio semplice e preziosissimo, se eseguito con sincera volontà non tarderà a donare sempre più frequenti momenti di serenità fine a sé stessa.
Cercare – e ricordarsi di cercare – esperienze sensoriali piacevoli in ogni istante del quotidiano. Scandagliando i sensi uno ad uno.
- Vista: oggetti, colori, volti, dettagli di cose e persone, scene, luminosità…
- Udito: suoni gradevoli, la natura…
- Olfatto: odori sentiti e ricordati, associati alla scena…
- Gusto: ci si concede un sapore piacevole, si ha in bocca o si ricorda un sapore piacevole…
- Tatto: una bella sensazione sul corpo, la temperatura è quella giusta o la pura consapevolezza sensoriale di essere vivi – a prescindere da ogni impedimento di salute…
Bellezza è anche, laddove possibile, saper ridere di sé e delle situazioni della vita.
Tale disposizione della mente, se mantenuta costante – l’impegno è ricordarsene quando si è avvinti dalla frenesia e dalle avversità del quotidiano – porterà ad un progressivo vero e proprio ricondizionamento della propria capacità di percepire la realtà; non che il “brutto” scompaia, ma semplicemente si inizierà a vedere anche l’altra parte della realtà, senza farsi soverchiare dal lato ombroso del quotidiano e, soprattutto, della propria mente.
Prendere la pratica come un gioco, senza aspettative di estasi mistiche o risoluzione della propria esistenza: con i piccoli passi, senza rendersene neppure conto, si può giungere in cima alla vetta più alta. Basta darsi una direzione e iniziare a camminare.
In epilogo: il pensiero positivo è uno strumento efficace e, se usato con consapevolezza dei suoi limiti e del rischio di distorsioni, raccomandato per curare il modo in cui usiamo la nostra mente.
Buona pratica