Tapas: 3 letture per il fervore dello yogi
Kayendriya-siddhir asuddhi-ksayat tapasah
“Da Tapas (dal fervore) deriva l’eliminazione delle impurità e la
padronanza sul corpo e sui sensi”
La traduzione più corretta del termine Tapas è “calore/fervore”. Tale è la disposizione che Patanjali invita a coltivare al fine di ottenere forza di volontà e purificazione secondo i criteri che abbiamo discusso parlando di Saucha (link qui). Vi possono essere diverse letture del termine Tapas: una prima è quella che lo intende come disciplina (link qui), ora intesa come impegno fervente nei confronti della sadhana, il proprio percorso di pratica. Una seconda lettura è quella più generica della purificazione tramite il calore generato dalle proprie pratiche. Una terza, più specifica, riguarda una serie di pratiche ascetiche che, in virtù della loro sfida, mirano purificare il corpo e la mente dalle proprie fragilità, temprando quindi la volontà del praticante. In tutti e tre i casi resta analogo il concetto di fondo: impegno fervente in grado di temprare la volontà purificandola attraverso il calore, che sia dovuto ad attività fisica o stress psichico.
“Ma come?! Lo Yoga non dovrebbe essere un’attività rilassante finalizzata a rilassare il corpo, ridurre lo stress mentale e portare la pace interiore??”
Questo è il luogo comune, la rappresentazione con la quale lo Yoga e la meditazione vengono vendute oggi. Ancora una volta si ricorda che lo Yoga non nasce come disciplina per il benessere (link qui)… il benessere che deriva dalla sua pratica è infatti quello che abbiamo definito come un “benefico effetto collaterale”, il cui costo minimo è – come tutto ciò che ha valore nella vita – un impegno costante e perseverante. A parte ciò, Tapas resta per chiunque uno strumento di eccezionale valore per temprare la propria volontà. Ma di che parliamo in soldoni? Scopriamolo nei prossimi paragrafi.
Tapas come impegno fervente
In questa prospettiva Tapas diventa espressione della “passione” del praticante, che si traduce nell’impegnarsi pienamente in ciò che si fa. L’immagine dell’atleta che si allena fino allo sfinimento per raggiungere il proprio obiettivo. Praticare con convinzione (anche sul tappetino) può essere visto come una forma di Tapas; il suo poco fruttuoso opposto è una pratica disimpegnata, annoiata, tanto per fare il proprio dovere… quando va di farlo.
“No pain, no gain” dicono i culturisti.
Tapas come generica purificazione col calore
La sfera semantica resta quella: fare fatica, sudare. Purificarsi. Dal punto di vista della purificazione sorge subito l’associazione con il calore del fuoco che brucia eliminando le impurità. Nel corpo umano il riferimento va ai processi di filtraggio dell’organismo – i glomeruli renali ed il fegato, ad esempio, nell’Ayurveda sono legati proprio all’elemento fuoco; ma si pensi anche al già citato sudore, adattamento del nostro organismo finalizzato all’eliminazione delle tossine, oltre che alla termoregolazione. Dando un riferimento generale, potrebbero quindi fare parte di Tapas tutte le pratiche più intense in cui si suda molto. Sì, lo Yoga può essere anche questo.
Tapas come pratiche ascetiche
Quello delle pratiche ascetiche, seppur in una cornice classica, è un argomento tradizionalmente più controverso*. Vediamo di seguito un’introduzione a questa importante parte della pratica dello Yoga. Anzitutto, dal punto di vista della padronanza sul corpo e sui sensi citata nel sutra, il richiamo va al bisogno di stabilizzarsi nella meditazione. Ciò, per alcuni profili umani – si ricorda che lo Yoga offre strumenti differenziati per tutti i tipi di praticanti – può richiedere uno sforzo superiore che avrà bisogno di essere guidato da una grande tempra e forza di volontà. Tali qualità, nel nel percorso dello Yoga, sono coltivabili attraverso una serie di definite e intense pratiche sfidanti, in genere considerate “ascetiche” in quanto eseguite in contesti di ritiro (ashram, grotta, foresta…) sotto la guida di un Maestro. Classicamente ne vengono identificate cinque:
- Esporre il corpo al sole per rinforzare la propria resistenza al caldo.
- Esporre il corpo al fuoco per rinforzare la cute e, soprattutto, la tempra interna.
- Praticare pranayama intensamente e con ritenzioni (sviluppa calore).
- Sviluppare la capacità di concentrazione estrema su un punto.
- Digiunare.
In questa stessa cornice, altre pratiche legate a Tapas sono le austerità del corpo, del linguaggio e del pensiero, come l’esporre il corpo al freddo, il disciplinare e purificare il pensiero ad esempio con la ripetizione di mantra e il silenzio (mouna, di cui torneremo a parlare). Tapas è anche aumentare l’energia calda interna, che attraverso un processo di trasmutazione tantrica può essere usata per attivare la Kundalini-Shakti, ovvero ottenere il cosiddetto risveglio spirituale. Tutti temi interessanti su cui torneremo a tempo debito.
*Tali pratiche, in alcuni contesti dottrinali, sono considerate esplicitamente da non eseguire, in quanto “tamasiche” (legate alle energie di qualità “oscura”, densa, pesante, bassa, quella della sofferenza insomma). Tuttavia un conto è la dottrina, un conto la prassi; alcuni profili umani – altamente motivati – potrebbero trarre giovamento, per varie ragioni che esulano da questo approfondimento, dalle forme di Tapas più estreme. Così è stato per diversi grandi Maestri, che per lunghi periodi delle loro vite hanno praticato particolari sadhane ad esempio di freddo o caldo, come Swami Shivananda Saraswati, che praticò l’esposizione al freddo, o Swami Satyananda e Niranjanananda Saraswati che hanno praticato l’esposizione al caldo e al fuoco. Si tratta di sadhane rituali ben codificate di cui una piuttosto celebre è il Panchagni, letteralmente “cinque fuochi”. In questa sadhana il sadhu medita coperto di cenere tra cinque fuochi: quattro bracieri intorno a sé, più il sole sopra. Durante i mesi più caldi. Per anni.

Tapas come forma di addestramento a tollerare la sofferenza
Un’altra funzione più “sottile” di Tapas, applicabile alla propria normale esperienza di vita quotidiana, riguarda l’ottenimento della capacità di rimanere nella sofferenza, di tollerarla, senza cercare di fuggirvi subito. Che si tratti di imporsi di rimanere immobili in posizione meditativa o ripetere un mantra quando la mente urla a gran voce “basta!”, o quando non si ha la fortuna di praticare in un contesto ottimale per via di rumori o temperatura non perfetta ecc. Tutti semplici esempi di Tapas che qualsiasi praticante di Yoga, di ieri come di oggi, si trova periodicamente a sperimentare. La pratica dello Yoga tradizionale andrebbe intesa come una piccola palestra di vita. In questo senso risulta utile imparare ad uscire dalla propria comfort-zone, accogliere la sfida con ciò che si porta dietro. Anche il semplice risiedere in una delle tante innaturali posizioni del corpo presenti nello Yoga può essere inteso come una forma di Tapas; è questo infatti un momento molto particolare, in quanto l’unità psico-fisica stressata viene esperienzialmente e simbolicamente “riscaldata” fin nella sua struttura più profonda; ciò offre la possibilità di vedersi “riplasmati” – nel giusto tempo e con progressività – in un nuova struttura più resiliente o tollerante nei confronti del disagio, della fatica e della sofferenza. Questo naturalmente vale per tutte attività, o esperienze prolungate, in grado di stressare il corpo e la mente. Che un po’ alla volta si adatteranno.
Il concetto di Tapas, quindi, non è solo una curiosa idea appartenente a mondi culturali lontani e riferita a distanti pratiche esotiche, bensì un processo di cui in varia misura tutti noi facciamo esperienza nelle nostre vite, talvolta ricercandolo al fine di evolvere noi stessi. In un certo senso “violando” il principio della ricerca del piacere e dell’evitamento della sofferenza di freudiana memoria: Tapas, se così si può dire, è figlio della volontà direzionata propria della mente umana, oltre gli istinti di base che condividiamo con gli altri animali.
Buona sudata.